Nell’impero romano i combattimenti tra gladiatori
ebbero una grandissima importanza: sia dal punto di vista politico, sia dal
punto di vista sociale, sia da quello psicologico. .
Si pensa che gli imperatori cercavano di organizzare
spesso i combattimenti tra gladiatori per distrarre la plebe romana dai gravi
problemi esistenziali che la affliggevano. costituendo una potente forma di
diversione e distrazione per la plebe romana, che assistendo a tali spettacoli
si dimenticava completamente di problemi gravi. Le enormi somme dilapidate
dagli imperatori per organizzare tali spettacoli raggiunsero spesso il
risultato sperato. Infatti i combattimenti tra gladiatori affascinavano ed
alienavano le masse popolari molto più degli spettacoli teatrali: la brutale
violenza dei combattimenti, che spesso si susseguivano per più giornate ad
intervalli brevissimi, le grida degli spettatori eccitati dalla crudeltà e la
musica fragorosa che accompagnava le lotte riuscivano ad alienare le masse, che
molto spesso scommettevano somme di denaro sull’esito dei vari duelli.
Purtroppo la grandissima maggioranza degli spettatori si recava negli
anfiteatri perché attirata dall’animalesco piacere derivante dalla vista del
sangue dei gladiatori uccisi o feriti. Si trattava di un piacere sadico che
certamente non faceva onore alla plebe.
La figura del gladiatore e sempre stata una figura
affascinante dell’Impero Romano.
Il personaggio del gladiatore come, molti film ci hanno
fatto vedere, (chi non ricorda il famosi film il gladiatore con Russell
Crowe )film di successo internazionale, ci fanno ricordare come nell’epoca
dei Romani questi giochi crudeli erano frequente nelle arena. dove si svolgevano
cruente battaglie tra di loro, per soddisfare il capriccio dell’imperatore di
turno e di un popolo pagano e crudele.
Chi non ricorda leggendo sui libri di storia, la storia della
persecuzione del cristianesimo nella Roma Imperiale dei Cesare.
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I leoni erano dietro alle loro sbarre e ruggivano
nervosamente
L’arena era gremita di un pubblico plebeo che anche quel
giorno voleva il suo tributo di sangue.
i leoni anche quel giorno avrebbero avuto il loro pasto
umano.
Camminavano su e giù nervosamente, ruggendo con rabbia
dentro le loro gabbie.
Fra poco quelle sbarre si sarebbero sollevati e potevano
entrare nell’arena dove già stavano combattendo i gladiatori.
C’era già molto sangue sulla sabbia dell’arena mentre i gladiatori lottavano
per la vita o per la morte.Il duello era all’ultimo sangue senza esclusione di colpi e la “gladio” anche quella volta aveva deciso per la morte di uno dei due combattenti.
Prima del combattimento i concorrenti si erano recati sotto la tribuna dell'Imperatore e avevano gridato :“Ave Cesare, coloro che si apprestano a morire ti salutano!.”
Un imperatore perverso e diabolico di nome Diocleziano avrebbe fra poco dato inizio ai
giochi del Colosseo, è il suo pollice verso, in su o in giù avrebbe decretato
la vita o la morte dello sconfitto.
,l’imperatore era considerato come Dio, e venerato
tale dal popolo, e lui decideva della vita e della morte del gladiatore
sconfitto.
E quel giorno il gladiatore Marco, sapeva che poteva
essere l’ultimo giorno della sua vita.
Si era allenato molto in quei giorni, per quell’avvenimento
che avrebbe deciso della sua sorte.
Nella sua cella la notte prima del combattimento, stava sveglio e pensava alla sua famiglia in Etiopia a Abobo Dam , uno dei luoghi naturali più belli di tutto il paese, con le sue immense distese di verde; sulle isole del Lago Tanae da dove era stato prelevato da mercenari senza scrupoli, e allontanato dalla sua famiglia mentre i suoi carcerieri lo avevano incatenato per portarlo in catene al mercato degli schiavi, dove poi era stato venduto e portato via a Roma insieme a altri sventurati
dove i più forti, sarebbero stati scelti e addestrati per diventare dei gladiatori.
Marco era stato portato a Roma in una terra e in un
luogo a lui sconosciuto lontana e inospitale, per combattere come gladiatore
nei giochi del Colosseo.
Era diventato come tanti altri uomini, schiavi come
lui, come una bestia da combattimento da scambiare e vendere, un schiavo senza
più dignità e la libertà.
Non era più un
uomo libero, le catene ai piedi non erano i soli che gli facevano male, ma erano
le catene dell’anima che lo
affliggevano, dì un uomo calpestato di tutta la sua umanità.
Marco era sveglio anche quella notte prima del
combattimento.
Succedeva sempre cosi prima di un combattimento, non
rusciva a prendere sonno e camminava avanti e indietro nella sua buia cella.
E dalla cella quella notte, poteva sentire dei canti che provenivano dalle celle vicino alla sua.
Erano canti di lode, di quei cristiani prigionieri come
lui, che avevano portato alcuni giorni prima nei sotterranei del Colosseo.
Marco dalle sue
sbarre aveva visto quelle persone che venivano buttati selvaggiamente nelle
loro celle dalle guardie Romane senza scrupoli, come se fossero dei nemici di
Roma e delle sue legge.
Nella sua vita ormai c’era solo odio e rancore verso
quell’Impero dalle aquile Reali che aveva combattuto contro la sua gente, e li
aveva sottomessi all’autorità di Roma.
Erano stati crudeli
e feroci con lui e la sua famiglia.
Marco odiava Roma e il mondo intero!
Nella sua testa c’era solo un pensiero, uccidere
quanti più legionari Romani poteva, e riprendersi la libertà che gli era stata
tolta.
Per Marco non c’era più posto per amare.
Ma nonostante tutto non poteva fare a meno di
sentire quelle voci di lode che provenivano dalle celle pochi distanti della
sua e quelle lode gli davano uno strano senso di pace, una sensazione che non provava
più da tempo.
Marco guardò
sulla parete della sua cella dove un timido
raggio di sole stava illuminando
la prigione ma non la sua vita.
L’alba si avvicinava,
un nuovo giorno stava per nascere.
Un nuovo giorno di combattimento, e la sua vita sarebbe
stata attaccata a un filo del pollice verso del sanguinario Imperatore Diocleziano*, l’imperatore che pianificò la
politica da adottare nei confronti dei Cristiani.
* Diocleziano, inizialmente, intendeva
limitarsi a imporre ai Cristiani il divieto di ricoprire incarichi
amministrativi e militari, ritenendo tali misure sufficienti a placare gli dèi,
ma Galerio persuase l'Augusto a condurre un'azione più decisa che
prevedeva la possibilità di sterminare gli adepti di questa nuova religione. Le
argomentazioni addotte da Galerio (nel corso, pare, di riunioni segrete) a
sostegno dell'adozione della linea dura verso i Cristiani potrebbero essere
così riassunte: i Cristiani avevano creato uno Stato nello Stato, che era già
governato da proprie leggi e magistrati, possedeva un tesoro e manteneva la
coesione grazie all'instancabile opera dei vescovi che dirigevano le diverse
comunità dei fedeli cui erano preposti attraverso decreti cui si obbediva
ciecamente; occorreva, quindi, intervenire prima che il Cristianesimo
"contaminasse" irrimediabilmente i ranghi dell'esercito.[230]
Secondo fonti dell'epoca, prima di agire si consultò il Didymaion, l'oracolo di
Apollo di Didyma,[231]
ma il responso fu che, "a causa degli empi sulla Terra, Apollo non avrebbe
potuto fornire il proprio aiuto".[232]
Gli "empi" cui l'oracolo fece riferimento vennero identificati (da
gran parte della corte imperiale) con i Cristiani
e Diocleziano si lasciò indurre a condividere questa interpretazione,
probabilmente lieto di disporre anche di una giustificazione di carattere
"religioso" per scatenare una vera e propria persecuzione universale.[233] che avrebbe deciso come un dio
della sua vita e di quella degli altri.
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E il giorno era arrivato
l’arena era già gremita in ogni ordine di posti, e, il
popolo plebeo era agitato e fremeva in attesa dei combattimenti , e anche quel
giorno voleva il suo tributo di sangue.
Marco senti i passi delle guardie che si avvicinavano
alla sua cella e uno di loro gli gridò:
“Alzati Gladiatore, e il tuo turno
combatti e vinci per il tuo imperatore ,
Ave Cesare!”
E Marco si avviò verso l’arena dove una grande cornice
di pubblico gli gridava il suo nome, vittorioso in molti combattimenti!
Era diventato
un simbolo, il gladiatore invincibile e la gente lo osannava quando entrava
nell’arena,
Anche quella volta avrebbe vinto contro un suo simile un
uomo di colore, colpevole solo di
essere uno schiavo ,e il suo sangue doveva servire per
fare divertire Roma e il suo imperatore..
Marco guardò la sua “gladio” sporca di sangue perché
l’imperatore aveva deciso per la morte del gladiatore sconfitto.
tante volte aveva ucciso un suo simile nell’arena, e
ogni volta era per lui una sconfitta nello spirito e nell’anima.
Vinceva nella lotta ma perdeva nell’anima!
Si sentiva come un senso di colpa di avere ucciso un suo
simile solo per appagare quella gente assetata di sangue e per i capricci dell’imperatore
sanguinario Diocleziano il peggiore
e sanguinario persecutori dei cristiani che Roma avesse mai avuto.
Ma queste erano faccende politiche che a Marco non
interessavano, erano fatti della
politica di Roma e delle sue legge è a Marco interessava solo riprendersi la
sua libertà.
Ma quel giorno era diverso,
E mentre Marco tornava nella sua cella accompagnato da
due centurioni Romani con l’animo in trambusto e il popolo che acclamava il suo
nome, un gruppo di prigionieri cristiani che stava entrando nell’arena
Marco guarda quei poveri sventurati come lui e si
chiede di quale colpa venivano accusati, se fosse un reato credere in Dio che parlava d’amore e di perdono!
Uno strano turbamento invade Marco, una sensazione
strana di dolcezza, è un turbine di pensieri facevano capolino nella testa di
un uomo che aveva perduto da tempo ogni sentimento d’amore. e in un solo minuto
la mente di Marco ,era come un vortice di ricordi di tutta una vita.
Un destino senza occhi e senza cuore, aveva deciso che
la sua vita prima o poi doveva finire in una arena legata al capriccio di un
Imperatore.
Marco si girò a guardare verso quel gruppetto di
persone che non avevano per niente delle sembianze pericolose, anzi per la
verità erano dolci e sereni come nessuno in quel posto dimenticato da Dio.
Aveva sentito parlare di loro, di questi cristiani,e
di come l’impero di Roma aveva messo al bando tutti coloro che si professavano tali
e la fede che professavano verso un Dio spirito,e non pagano era considerata
per Roma un pericolo nascente per il loro credo ,da cui bisognava difendersi, una radice da estirpare.
I cristiani secondo l’Imperatore Diocleziano attentavano alle legge dello stato,
alle loro tradizione pagane, al loro potere e alla loro religione pagana.
Molti altri cristiani per questo motivo,erano stati
portati nell’arena e fatti divorare dalle belve feroce,
e, mentre le sbarre delle gabbie dei leoni si
alzavano entrando nell’arena ruggendo, il popolo si alzò in piedi per godersi meglio lo
spettacolo che il diavolo aveva preparato.
I cristiani si
misero in ginocchio nel centro dell’arena, e cantavano un canto di lode al
Signore
In un susseguirsi di lacrime, e pianti di bambini che
abbracciavano le loro mamme, mentre li stringevano forte al petto e la folla senza cuore e senz’anima li
scherniva ridendo e beffeggiandoli.
Il popolo plebeo nell’arena rideva e insultava ,mentre
i leoni si avvicinavano verso di loro,e i
loro canti arrivavano alle orecchie di Dio che scese dal suo trono in mezzo a
loro ,in mezzo ai suoi figli, li benedisse e se li portò con sè prima che i
leoni arrivassero!
Il gladiatore Marco vide per la prima volta in vita
sua, dei cristiani che affrontavano la morte cantando lode a Dio, fu compunto
nel suo cuore ,e sentì dentro la sua anima che quella era la vera via da
seguire, la via dell’amore, la via del perdono.
Dio aveva parlato al cuore del gladiatore Marco, e lui
ascoltò la sua voce,
e per la prima
volta in vita sua capì cosa significava amare è essere libero dalle catene.
Non c’era più odio nella sua vita, era diventato come
uno di loro felice e libero, senza più sbarre senza più catene.
Adesso Marco era veramente libero, perché Cristo lo
aveva liberato da ogni schiavitù del peccato
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